mercoledì 9 aprile 2014

L'infinito silenzio, il Grand Canyon e la Monument Valley


Monument Valley


Entrando in Arizona fanno la loro comparsa i famosi cactus Saguaro, i più grandi al mondo!  La temperatura è di 107°F, 46° C! Il caldo è opprimente e il sole scotta. Ci fermiamo per alcune foto ai cactus che crescono a centinaia nel deserto dell’Arizona. Sono alti fino a 15 metri; quando crescono hanno solo il tronco centrale, dopo 75 anni nasce il primo ramo e ogni dieci i rami successivi. Sono veramente maestosi. 




Ripresa la Interstate Highway 17 raggiungiamo il Montezuma Castle National Monument, un pueblo risalente al 1100, insediamento degli antichi indiani Sinagua. Incastonato nella montagna assomiglia a una fortezza. Alcuni condor neri volano nel cielo mentre li osserviamo sotto il sole cocente. Lasciato il Montezuma Castle la strada comincia a salire, il paesaggio cambia radicalmente e i cactus scompaiono a causa dell’altitudine. Le montagne sono di roccia rossa e ben presto ci addentriamo in uno dei paesaggi più spettacolari del West, Sedona e l’Oak Creek Canyon. Le montagne rosse sono incantevoli, richiamano subito i film Western che sono stati girati in queste terre. La cittadina di Sedona ha conservato l’aspetto e lo stile del paese dei cowboy, anche se ovviamente in chiave moderna. Pranziamo con un Buffalo Cheeseburgher al Cowboy Club, uno dei ristoranti lungo la strada che attraversa Sedona. Ci sono negozi con manufatti indiani e souvenir per turisti. In uno di questi si possono ammirare le fotografie dei film girati qui negli anni Cinquanta.


Nel pomeriggio ripartiamo attraversando la Coconino National Forest, passando vicino a Flagstaff. Arriviamo così al sospirato Grand Canyon, lungo il versante sud, il South Rim, nel Grand Canyon National Park. Lo spettacolo è impagabile. Siamo sull’altopiano del Colorado, ad un’altitudine di 2170 metri, il sole è caldo e ci sono 30°.La vastità del Grand Canyon ci cattura all’istante. Gli scoiattoli giocano a rincorrersi mentre pochi metri sotto di noi un condor appollaiato sul dirupo pare godersi in silenzio la magnificenza di questo spettacolo della natura. Ci incamminiamo lungo il sentiero e in pochi attimi abbandoniamo il Grand Canyon Lodge, rifugio colmo di turisti e punto di partenza noto come Bright Angel Point, e ci ritroviamo soli al cospetto del canyon. Alberi dalle forme bizzarre scolpite dal vento paiono sospesi nel vuoto, sullo sfondo gli strati dai diversi colori delle rocce che testimoniano le varie ere geologiche del Grand Canyon. Il cielo è limpido e il vento soffia costantemente alimentando il fumo di un incendio che scorgiamo all’orizzonte.
Il tempo sfugge veloce ed è già ora di rientrare. Le rocce si accendono di un rosso fuoco mentre all’orizzonte comincia a imbrunire. Ci fermiamo in un antico rudere in stile adobe dal nome Hopi House dove compriamo un’acchiappasogni degli indiani Hopi. L’allontanamento dal Grand Canyon ha già il sapore della nostalgia, ma allevia sapere che si ritornerà il mattino seguente. Raggiungiamo in pochi minuti Tusayan, dove alloggiamo in un motel da incubo. La camera non è delle migliori, ma la cosa più inquietante, oltre alla luce del neon rosso in un bagno minuscolo, è la vista dalla finestra. Il campo a ridosso del motel è adibito a cimitero delle automobili. Pick-up abbandonati come quelli utilizzati nei film del terrore, automobili arrugginite senza finestrini, motociclette avvolte dalle sterpaglie. Ci guardiamo spauriti e abbozziamo un sorriso per alleviare la tensione. Forse è meglio chiudersi dentro. Sbarriamo la porta e ci infiliamo nel letto, sotto le coperte, anzi sotto il letto portandoci dietro le coperte. In realtà ci scherziamo su e la sera usciamo indossando una felpa e un giubbotto, fa freddo di notte. Il vicino cinema “I-Max” (sponsorizzato dalla National Geographic) ha uno schermo enorme dove viene proiettato ogni sera un film-documentario sull’evoluzione della vita nel Grand Canyon, dalle antiche popolazioni indiane all’arrivo degli spagnoli e dei cercatori d’oro. Lo schermo così grande trasmette emozioni molto forti perché pare di volare a bordo di un elicottero che si addentra nelle profondità del canyon. Ci lasciamo catturare dallo spettacolo e voliamo come le aquile per circa un paio d’ore. Il ritorno al motel è veloce, vorremmo fare qualcosa, andare in un pub, divertirci un po’, ma a Tusayan non c’è un granché da fare, se non andare a dormire per potersi alzare freschi e riposati il mattino seguente, pronti a rivivere le emozioni che solo il Grand Canyon sa regalare. Questo a patto di riuscire a prendere sonno nascosti sotto il letto... 


Di buon mattino torniamo di corsa al Grand Canyon, stavolta però in un altro punto d’osservazione, sempre sul South Rim, il Desert View Point, a 2267 metri. Da qui vediamo il fiume Colorado che attraversa le pareti scavate nel canyon, laggiù in fondo, così lontano che pare un rigagnolo. Con un monocolo riusciamo a vedere bene le rapide viste nel film della sera precedente. Affacciati a questa suggestiva terrazza ascoltiamo un silenzio mai udito prima, non percepiamo alcun tipo di rumore provenire dalla vastità del Grand Canyon. Chi non è stato qui non può capire effettivamente il vero significato della parola “silenzio”. Osservare l’infinito senza il minimo rumore, provare la sensazione di trovarsi in un luogo completamente ovattato, privo di contatti con il resto del mondo. Ne resti come ipnotizzato, da farti girare la testa e perdere l’equilibrio. Sto scherzando, a picco sui dirupi è meglio rimanere ben saldi a qualcosa prima di precipitare nel vuoto.
Saliamo sull’antica torre in pietra adibita a negozio di souvenir dove si possono vedere alcune pareti con dipinti degli indiani Hopi. Poi purtroppo arriva il triste momento del commiato da uno dei luoghi più belli del mondo. Speriamo si possa trattare di un arrivederci, per tornare presto in questo posto incantevole.


Poco dopo siamo di nuovo in viaggio verso il Little Colorado Canyon, un canyon spettacolare creatosi per l’erosione del fiume Little Colorado. Entriamo nella Riserva degli Indiani Navajo e successivamente nel Painted Desert, il deserto dipinto, chiamato così per la continua mutazione di forme e colori del paesaggio. La Highway 160 corre veloce nelle distese infinite, qua e là alcuni villaggi abitati esclusivamente dai Navajo. Oltrepassiamo una miniera di carbone e passiamo accanto alla cittadina di Kayenta, uno dei pochi centri abitati da indiani benestanti. I Navajo infatti sono una popolazione povera con un alto tasso di disoccupazione e in passato anche di alcolismo. Ora infatti vige il divieto di vendere e consumare alcolici in tutta la riserva. Dopo Kayenta svoltiamo a sinistra sulla Highway 163 e in lontananza fanno la loro comparsa alcune sagome rocciose. Il cuore batte forte, ascoltiamo canzoni indiane mentre entriamo nello stato dello Utah, e quando il panorama prende decisamente forma capiamo di essere finalmente arrivati nella stupenda Monument Valley. Le montagne rosse che hanno fatto da sfondo ai film western di John Ford (come “Ombre Rosse” o “Sentieri Selvaggi”) si stagliano di fronte a noi. Giungiamo al Gouldings Lodge, dove si gode di una vista incredibile sulle tre montagne rosse che vengono usate come sfondo del desktop sui computer o nei set pubblicitari della Marlboro: il Left Mitten, il Right Mitten e il Merrick Butte. 


Il modo migliore per visitare la Monument Valley è sicuramente quello di addentrarsi lungo la strada sterrata che la attraversa a bordo delle jeep guidate dagli indiani Navajo. Sicuramente un’escursione per turisti, ma di notevole efficacia. La nostra carovana, composta da quattro fuoristrada, si inoltra tra i giganti rossi, la polvere è dappertutto, il sole scotta e ci sono 32°, nonostante siamo sempre a circa 2000 metri. Il tour nella valle è emozionante. Ci fermiamo più volte per addentrarci anche a piedi e scattare diverse fotografie ai luoghi migliori, dalle Three Sisters al John Ford’s Point. La pausa per il pranzo consiste in una pizza con fagioli, olive e insalata preparata dai Navajo, non eccellente ma commestibile. Ciò che l’ha resa davvero unica è stato il fatto di mangiarla a ridosso delle formazioni rocciose della Monument Valley, laggiù, lontano dal mondo. L’unico rammarico invece è quello di non aver visto nemmeno un costume tradizionale. Solo qualche bancarella di artigianato locale. I Navajo sono stati definiti come un popolo depresso e forse è vero. Se si pensa che un tempo tutto questo enorme territorio era loro se ne può intuire il motivo. Il ritorno è veloce, la jeep sobbalza e solleva nuvole di polvere che poi ritroveremo tra i capelli e nei vestiti.

Difficile da descrivere, l’esperienza nella Monument Valley va vissuta di persona, in stretto contatto con questo paesaggio affascinante e infinito. Provo a immaginare un tempo, quando uomini solitari cavalcavano queste terre. Di pelle bianca o rossa, con il cappello di cuoio o con il copricapo di piume, sicuramente tutti affascinati da questo magico deserto rosso e dal suo magnifico silenzio.

2 commenti:

  1. Molto carino questo post! Apprezzo il tuo blog, ecco perché ti ho nominato per il Liebster Award! http://sbirilla.blogspot.it/2014/04/liebster-award.html se ti va leggi e partecipa ;)

    RispondiElimina
  2. Grazie Giovanna, il tuo apprezzamento mi fa molto piacere! Vado a vedere il link.. ciao!

    RispondiElimina