giovedì 6 febbraio 2014

La coccinella e la pianta di granoturco



Il semaforo era rosso, la calura nell’auto era davvero opprimente in quel pomeriggio di fine giugno. Avevo acceso il climatizzatore, alzato i finestrini e finalmente un po’ di aria fresca mi veniva sparata sul viso. La strada era deserta, mi trovavo tra i campi di granoturco in località Cascinara. Avevo lo sguardo fisso nel vuoto quando con la coda dell’occhio vidi un piccolo movimento sul vetro del finestrino alla mia sinistra. Una coccinella rossa si era fermata proprio lì, come se sapesse che dentro all’automobile si cominciava a respirare, mentre al di fuori i campi cuocevano sotto il sole.
Il semaforo divenne verde, accelerai svoltando lungo la strada che portava al mio paese natale dove vivevo da circa trent’anni. Sorrisi vedendo che il minuscolo insetto non pareva volersi staccare dal vetro, le piccole ali erano scosse dall’aria ma le zampette rimanevano immobili come se fossero piccole ventose.
Dopo un paio di chilometri raggiunsi un altro incrocio dove svoltai a destra oltrepassando il centro del paese e arrivando alla mia abitazione, una vecchia casa costruita negli anni cinquanta vicino ad un grande campo di granoturco. Avevamo anche delle bestie, un cavallo, qualche coniglio e una decina di vacche. Oltre a delle chiocce e al nostro inseparabile Lampo, un cane da guardia eccezionale oltre che un fedele amico. 
Avevo parcheggiato, come ogni volta, vicino alla mangiatoia spegnendo l’automobile, una Fiat Punto ancora in buone condizioni. In quel momento mi girai per aprire la portiera quando notai che la coccinella era ancora lì, ferma nella stessa posizione. ‘Strano che non voli via’ pensavo fissandola incuriosito. Mi avvicinai al vetro per guardarla meglio. Era un piccolo insetto colorato, non se ne vedevano spesso. Si dice che le coccinelle rosse portino fortuna. Tuttavia non ho mai capito se a me abbia portato buona sorte o viceversa. So soltanto che in quei secondi in cui mi ero fermato ad osservarla la piccola coccinella mi parlò.
Quella notte non avevo chiuso occhio. Mio padre russava e mia madre tossiva nervosamente, Lampo abbaiava e il bestiame pareva piuttosto agitato. Girandomi continuamente nel letto continuavo a ripensare a quei pochi secondi in cui ero caduto in una sorta di trance, immobile con gli occhi fissi sul finestrino. Grazie al fedele border-collie che abbaiava non vedendomi scendere dall’automobile, mi ero destato improvvisamente, spaventato e confuso. La coccinella non c’era più, era volata via. Probabilmente avevo sognato oppure il caldo mi aveva giocato un brutto scherzo. Ma quella frase era stampata nella mia testa e anche durante la notte continuò a tormentarmi. Sembrava una specie di avvertimento. L’insetto mi aveva trasmesso un messaggio telepatico, breve ma angosciante. Mi aveva messo in guardia, sentivo che stava per accadere qualcosa di spiacevole. Ricordo il minuscolo corpicino e le alette rosse con piccoli punti neri spiegate e pronte a librarsi in volo.
“Strane cose stanno per accadere e se il campo non sarà falciato al più presto dì addio alla tua casa e a tutto il resto!”
Cosa mai poteva significare una frase del genere? Ogni anno il campo di granoturco veniva falciato verso la fine dell’estate a raccolto ultimato. Non potevo certo anticipare i tempi e poi come avrei giustificato un’azione del genere? Sarei diventato lo zimbello di Cascinara e dintorni. E la mia famiglia non avrebbe mai compromesso il raccolto tanto atteso.
La notte scorreva lenta, pensieri assurdi mi tormentavano tardando l’arrivo del sonno. La luna era un sottile spicchio luminoso che tuttavia rischiarava la distesa di granturco che si estendeva fino alle colline.
«Non riesco a dormire! Che razza di situazione! Il caldo oggi mi ha dato alla testa… se mi avesse visto qualcuno mi avrebbe scambiato per pazzo. Chiuso in un’automobile con lo sguardo da ebete a guardare una coccinella che si faceva gli affari suoi…»
Nel frattempo mi ero alzato dal letto e avevo raggiunto la cucina per bere un bicchiere di latte fresco. Ero tutto sudato, il caldo in quei giorni era opprimente e anche di notte non dava tregua. 
Assorto nei miei pensieri non mi ero accorto che i grilli avevano smesso di frinire. Dalla stalla non giungevano più i rumori delle mucche che fino a poco prima parevano agitate. Lampo non abbaiava più… guaiva. Alcuni passi alle mie spalle mi fecero sobbalzare, mia madre si era alzata ed era ferma sulla soglia della cucina. Lo scricchiolio del letto matrimoniale mi fece capire che anche mio padre si era svegliato e ci stava raggiungendo.
In piedi accanto al frigo ancora aperto, con il bicchiere di latte in mano, guardavo stupito il chiarore al di fuori della finestra. Uno strano sibilo fischiava nell’aria accaldata mentre incredulo e confuso ripensavo alla frase della coccinella. Pareva un incubo, qualcosa di irreale si stava compiendo davanti ai nostri occhi. 
«Che sta succedendo?» chiese mia madre assonnata.
«Non capisco…» risposi assorto.
«Cos’è quella luce? Sono le tre di notte…» gridò mio padre.
Forse era un elicottero della polizia in cerca di un fuggiasco, ma non sentivo il rombo del motore. Oppure qualcuno aveva acceso un grosso generatore e illuminava il campo per chissà quale motivo. O probabilmente l’esercito aveva creato un nuovo velivolo e lo sperimentava di notte in zone poco abitate. No, non c’erano spiegazioni plausibili a ciò che stava accadendo in quell’istante. In pochi secondi un fascio di luce proveniente dal cielo illuminò a giorno il nostro campo di granturco. Poi ritornò il buio e dopo pochi minuti i grilli tornarono a cantare. 
«È successo qualcosa là fuori, dobbiamo andare a vedere!» gridò mio padre con gli occhi strabuzzati.
«Chiamiamo i vicini, chiediamo aiuto…» bisbigliava mia madre terrorizzata. 
La mano si era raffreddata, stringevo il bicchiere di latte con tal forza che per poco non lo frantumai. Voltandomi verso i miei genitori cercai di parlare, ma dalla mia bocca non uscì alcun suono.
Ripensavo alla coccinella e al significato della sua rivelazione. Il campo falciato… Perché? Cos’era successo? Dovevo andare a vedere. Facendomi coraggio infilai le scarpe e uscii con mio padre. Illuminammo la strada davanti a noi con le torce mentre mia madre ci osservava dalla finestra. Scorgemmo Lampo rannicchiato e impaurito dietro alla stalla. Esitò prima di venirci incontro, anche lui pareva confuso. Innanzi a noi si ergeva maestosa la prima fila di piante di granoturco, dietro vi erano decine di ettari di campo da perlustrare. Dalla nostra abitazione con il buio non si vedeva molto e quindi dovevamo per forza addentrarci per verificare cosa fosse successo, anche se era ancora notte fonda e la luce della luna sembrava essersi affievolita. Lampo abbaiò di nuovo, prima timidamente, poi con vigore. Il suo latrato ci diede una scossa, l’adrenalina ci spinse ad addentrarci nel campo. 
Distanziati pochi metri l’uno dall’altro camminammo silenziosamente attraverso le grosse piante di granoturco seguendo Lampo che procedeva sicuro come se avesse fiutato qualcosa. Avevo la fronte imperlata di sudore, forse per l’aria calda o più probabilmente per la tensione.
«Vedi qualcosa?» continuava a chiedere mio padre sussurrando.
«No! Niente!» rispondevo con un filo di voce.
Non riuscivo a credere che stavo attraversando il campo di notte, fin da bambino non avevo mai osato avventurarmi laggiù, la distesa di piante altissime incuteva timore di giorno con il sole, figurarsi al buio. Ma quella notte era successo qualcosa e la coccinella mi aveva avvertito. Potevo sembrare pazzo ma quando ti capita di vivere una situazione a dir poco irrazionale si scopre un lato sconosciuto di se stessi. Una parte nascosta della mia mente mi spingeva ad andare oltre, senza pensarci troppo. Sapevo che dovevo andare in mezzo al campo, solo lì avrei avuto una risposta. 
Un movimento fulmineo mi fece sobbalzare, con il cuore in gola puntai il fascio di luce della torcia dritto davanti a me e per poco non mi lasciai cadere a terra per lo spavento. Sembrava un mostriciattolo, in realtà era il nostro fedele Lampo che si era spinto un po’ troppo in là e, forse intimorito dal buio, era tornato verso i suoi padroni. Era completamente ricoperto di foglie sminuzzate.
«Ma che razza di…» esclamò mio padre.
«Lampo! Dove ti sei cacciato? Guarda come si è sporcato!» incalzai.
Il border-collie pareva frastornato, aveva smesso di abbaiare e non voleva proseguire. Tremava e aveva un’espressione triste e impaurita. I suoi occhi languidi sembravano supplicarci di tornare indietro. Avvertii uno strano formicolio in tutto il corpo, anche mio padre si era avvicinato constatando le condizioni del nostro cane. 
«È tutto sporco… sembrano foglie secche… sbriciolate…» disse cercando di ripulirlo.
«Sembra impaurito. Non mi ero accorto che si era allontanato.»
«Infatti non è andato lontano, lo tenevo d’occhio con la torcia» concluse mio padre.
Ciò voleva dire che non eravamo distanti da dove Lampo si era intrufolato  sporcandosi completamente il pelo e uscendone spaventato. Il cane era tornato subito indietro perché aveva fiutato qualcosa che lo aveva intimorito. Avanzammo lentamente per una decina di metri. Lo stupore che ne seguì ci lasciò a bocca aperta e senza parole. Lo smarrimento prendeva il posto della paura, ciò che era successo era incomprensibile, anzi impossibile. Davanti a noi il granoturco era stato schiacciato al suolo, le grosse piante piegate quasi a formare un tappeto uniforme di foglie e arbusti. Lampo probabilmente vi era piombato in mezzo e aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Conosceva bene quel campo e spesso vi correva attraverso. Ma quella notte si era accorto che le piante non erano nella loro posizione abituale, era come se fossero state calpestate da un piede gigantesco. Un piede di forma circolare. Non ci volle molto per notare la perfetta geometria del tratto di campo ridotto ad un enorme cerchio. Restammo immobili nel centro di quella circonferenza per qualche minuto, prima di cominciare a correre verso casa, terrorizzati. Mia madre ci aspettava con ansia scrutando nel buio dalla finestra della cucina. Anche Lampo correva, felice di tornare a casa. Erano state raccontate molte storie sugli strani fenomeni avvenuti anni prima in Inghilterra. Li avevano chiamati Crop Circle, i cosiddetti cerchi nel grano, misteriose figure geometriche ricavate schiacciando le piante di granoturco, come se fossero simboli per indicare qualcosa, una pista o un percorso. Realizzazioni incomprensibili attribuite da qualcuno a creature extraterrestri. Noi non avevamo mai dato troppo peso a quelli che parevano fantasiosi racconti per attirare turisti e curiosi. Già, proprio quello di cui non avevamo bisogno in quel momento. Ecco allora che mi tornò in mente la previsione della coccinella. Se volevamo sopravvivere ad una vera invasione, umana più che aliena, quell’estate la trebbiatura andava anticipata davvero. 
Qualche curioso si era avvicinato nei giorni seguenti a domandare cosa fosse accaduto. Avevamo risposto che una sconosciuta ma devastante malattia della pianta di granoturco ci aveva costretti a disfarci dell’intera coltivazione prima di subire danni agli altri raccolti. Successivamente altre famiglie ci avevano imitato con nostro grande stupore. Anche a loro era successo quello che era accaduto a noi? Io credo di sì, non sono mancate altre notti in cui strani bagliori hanno rischiarato il buio nei campi dei vicini. Abbiamo vissuto un periodo di povertà, senza il ricavo della vendita del raccolto la mia famiglia ha dovuto tirare la cinghia.
Erano comparsi alcuni articoli sui giornali riguardo allo strano atteggiamento della gente di Cascinara e qualche giornalista aveva descritto gli abitanti come persone scorbutiche che non gradivano dare spiegazioni riguardo alla malattia del granoturco. 
Ricordo ancora quel mattino dopo la triste e dolorosa falciatura, camminavo sotto il sole cocente contemplando la vastità del campo arido e desolante. Improvvisamente mi imbattei nell’unica superstite di quella strage spietata e crudele, una pianticella di granoturco rimasta ancora in vita. L’avevo accarezzata, era alta e bella. La vista di quell’ultimo esemplare mi aveva ridato forza e coraggio, sembrava il simbolo della rinascita. L’anno seguente la trebbiatura ci sarebbe stata, con un nuovo raccolto, ne ero certo. 
‘Ma se dovessero tornare…’ pensavo amareggiato. 
In quell’istante mi accorsi di un piccolo puntino rosso posto sulla cima della pianta. Si muoveva lentamente. Poi volò sul ramo più basso, vicino al mio naso. Era una coccinella. Sorpreso ed incredulo la osservai con la bocca aperta, poteva essere davvero lo stesso insetto che mi aveva avvertito dicendomi come affrontare quella sciagurata situazione? Mi affiorò la rabbia, era anche per colpa sua se la vita della mia famiglia era cambiata. La presi con le dita, essa cercò di divincolarsi ma inutilmente. Poi mi parlò per la seconda volta.
«Ti ho aiutato, eppure mi sembri contrariato. Guai peggiori incontreranno coloro che non mi ascolteranno. Dicono che porto fortuna, ma io dico che porto consiglio. Loro non torneranno finché altre piste non troveranno. Spero di non doverti rincontrare il prossimo anno. Ricorda, non coltivare più campi di grano.»
A queste parole la coccinella prese il volo, guardai la pianta di granoturco e la schiacciai infuriato. Anche l’ultimo esemplare era definitivamente caduto. 
Nel cielo di notte osservo le stelle, a volte mi pare di vedere dei punti più luminosi che si avvicinano, ma poi disorientati ritornano nell’oscurità dello spazio infinito.

2 commenti:

  1. Direi un mix tra fantasy e horror.. bellissima e suggestiva anche questa storia!!

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    1. Grazie Giuly, un racconto maturato dalla lettura dei fenomeni dei crop circle.. La coccinella invece era davvero sul finestrino della mia auto mentre ero fermo al semaforo.. Non mi ha parlato però.. o forse sì..

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