lunedì 21 aprile 2014

Lo zoo della paura



Quella notte l’aria era molto calda, i cuccioli erano nati da poco e la madre li accudiva gelosamente. Il capofamiglia si aggirava nervoso attorno ai propri piccoli, aveva fiutato un pericolo in agguato. 
I bracconieri li stavano osservando da giorni e ora era giunto il momento di mettere in atto il piano. Erano pronti a tutto pur di avere i cuccioli. Al calar del sole il commando composto da quattro bianchi e da una ventina di guerrieri zulù era pronto a entrare in azione. 
Il leone si era addormentato, il caldo opprimente e la tensione della giornata lo avevano sfinito. La leonessa era molto debole e riposava accanto ai suoi cinque cuccioli che tremavano nonostante la calura. La notte africana calava in un’atmosfera magica, la savana riecheggiava dei versi degli animali irrequieti. Qualcuno stava turbando il loro riposo, ombre furtive si avvicinavano lentamente strisciando nell’erba alta e ingiallita dal sole cocente di quei giorni.
Il capo della banda, un uomo di mezz’età con gli occhiali e la barba bianca, era pronto a dare il segnale. Gli uomini erano armati di fucili e coltelli, poco distante un grosso autocarro teneva il motore e i fari spenti in attesa di partire al segnale che sarebbe giunto via radio. Gli zulù dovevano attirare il leone allontanandolo dai cuccioli mentre due cecchini, appostati nelle vicinanze, sugli alberi, erano pronti a fare fuoco. In quei terribili istanti la savana era piombata nel silenzio, gli animali si erano accorti degli intrusi e la paura li aveva zittiti. Ma questa calma improvvisa aveva destato il leone e la leonessa, che ora ruggivano nervosamente. Il leone si era alzato, lentamente era sbucato dalle rocce che nascondevano la sua tana.

L’uomo dalla barba bianca diede il via alla caccia, sparò un razzo rosso verso est, illuminando il gruppo di guerrieri zulù che nel chiarore parevano spettri. Danzavano e urlavano canti di morte rivolti al re della savana. Il leone ruggì, la rabbia e la paura lo spinsero a rincorrere quelle ombre. Anche la leonessa ruggiva. I cuccioli si erano svegliati spaventati e cercavano riparo vicino alla madre. Ma un proiettile sibilò improvvisamente sferzando l’aria calda e raggiunse la nuca della leonessa, uccidendola all’istante. Il leone corse sempre più veloce mentre gli zulù cercavano di accerchiarlo e colpirlo con le lance. Il secondo cecchino appostato poco più in là, verso i guerrieri, sparò un colpo, ma mancò il bersaglio. Il leone, accecato dall’ira, spiccò un balzo e con un morso afferrò alla gola un guerriero spintosi troppo vicino. Questi non ebbe nemmeno il tempo di gridare, il re della savana gli aveva squarciato la gola. Gli altri terrorizzati e inorriditi dall’orripilante spettacolo scagliarono le lance verso la belva e alcuni lo colpirono ferendolo seriamente. Il leone si accasciò, cercò di rialzarsi, ma il cecchino non fallì il secondo colpo e lo centrò dritto al petto. L’animale, vicino alla morte, respirò affannosamente mentre i suoi occhi andavano lentamente chiudendosi. Udì le grida di esultanza dei suoi assassini quando, esalando l’ultimo respiro, pensò ai suoi cuccioli e alla leonessa con cui aveva trascorso gran parte della sua vita. Intanto l’uomo dalla barba bianca, insieme ad altri tre cacciatori, aveva accerchiato i giovani leoni e li aveva catturati con una rete metallica.

Poco dopo due fari illuminavano la notte della savana che lentamente tornava alla normalità, gli animali comunicavano tra loro domandandosi cosa fosse accaduto al re e alla sua famiglia.
Il ruggito del motore del camion fece trasalire gli zulù che si tranquillizzarono solamente nel vedere il corpo del leone ancora accasciato a terra. I cuccioli vennero rinchiusi in una gabbia, e una volta caricati sul camion, furono portati lontano dal loro habitat. Avevano l’aria triste e l’aspetto impaurito, tranne il più piccolo che continuava a ruggire e a mostrare i denti. Il vecchio con la barba bianca lo colpì con un bastone ferendolo lievemente e il cucciolo di rimando tentò di morderlo ad un braccio. L’uomo lo guardò negli occhi sghignazzando. Decise che quel cucciolo così vendicativo l’avrebbe portato con sé. 

Dieci anni dopo, Safari.

Il grande giorno era finalmente arrivato. Il professor Walzer, noto studioso di storia naturale nonché direttore del museo zoologico di Navone, si apprestava a tagliare il nastro al cospetto di un folto gruppo di scienziati e politici giunti da altre città per assistere all’inaugurazione del parco. Al pubblico sarebbe stato aperto il giorno successivo.
Safari era sempre stato il “sogno nel cassetto” del professor Walzer che da anni si dedicava giorno e notte alla realizzazione di questo parco. Uno zoo richiedeva, oltre a un enorme sforzo economico, anche una grande professionalità nell’ospitare animali di varie specie. Il professore aveva assunto collaboratori esperti, veterinari e scienziati, laureatisi nelle migliori università, per realizzare quest’impianto. Gli animali erano stati comprati dagli zoo di tutto il mondo e in pochi mesi Safari contava ben centocinquanta ospiti. L’obiettivo del professore era di arrivare a quota trecento esemplari, ma il suo vero sogno era quello di avere il maggior numero di specie possibili. A giugno, nel giorno dell’apertura del parco, gli illustri ospiti potevano osservare animali provenienti da tutto il mondo: antilopi, leoni, tigri, orsi, bisonti, rinoceronti, elefanti, ippopotami, giraffe, lupi, cammelli, scimmie di svariate specie. Fenicotteri, ibis, marabù, pellicani, avvoltoi, cicogne. Rettili e serpenti più o meno velenosi, tartarughe giganti, alligatori e caimani. Era in fase di allestimento anche l’enorme acquario che poteva ospitare delfini, squali, foche, leoni marini, pinguini e innumerevoli specie di pesci e anfibi. Il tutto realizzato in una enorme area verde dove ogni animale viveva nel suo habitat perfettamente ricreato dagli scienziati del parco. Diviso in aree geografiche, era incredibile come in un solo giorno ci si potesse inoltrare nella savana africana, nella giungla sudasiatica e ritrovarsi infine tra le montagne del Nordamerica, nei ghiacci del Polo Sud e nel deserto del Sahara.
Ma la vera sorpresa di Safari, ciò che lo rendeva unico al mondo, era il fatto che questi animali erano in assoluta libertà. I visitatori potevano camminare tranquillamente nel parco senza timore di essere aggrediti. La scoperta sensazionale del professor Walzer risaliva a tre anni prima. Aveva inseguito questo sogno a lungo e infine ci era riuscito. Grazie agli studi effettuati su alcuni animali aveva scoperto che esisteva un siero capace di sedare l’aggressività dovuta alla paura, alla fame o al semplice istinto di sopravvivenza. Distribuendo questo siero nelle razioni di cibo giornaliere, gli animali rimanevano assolutamente tranquilli e innocui. La vera novità di Safari era la mancanza di gabbie o recinzioni, ciascuno poteva camminare attraverso il parco accarezzando animali ritenuti da sempre pericolosi. Ovviamente all’inizio non sarebbe stato facile, molti erano scettici e non mancavano le critiche.
Ma il successo arrivò prima di quanto il professor Walzer avesse osato sperare. Il giorno dell’inaugurazione Walzer venne osannato dal folto gruppo di scienziati e politici in visita al parco. Dopo nemmeno un mese tutti parlavano di quel luogo incredibile e ogni giorno si formavano lunghe code di visitatori e curiosi che si accalcavano in attesa di poter entrare a stretto contatto con gli animali di Safari.

Passò un anno dall’inaugurazione. Il professor Walzer divenne famoso in tutto il mondo, gli affari andavano a gonfie vele grazie allo zoo che registrava incassi da capogiro. L’afflusso di gente era tale che i visitatori per entrare dovevano prenotare il biglietto settimane prima. 
Il mattino del primo anniversario di Safari il personale aveva allestito al meglio il parco organizzando una festa degna dei grandi eventi. Erano stati invitati anche personaggi importanti del mondo dello spettacolo e della politica. Tutto si svolse in grande stile, Safari era stracolmo di gente entusiasta e il professor Walzer si sentiva al settimo cielo. 
Al tramonto lo zoo venne chiuso come ogni giorno dai due guardiani di turno, gli animali si addormentarono e infine il silenzio della notte calò sul parco.

Il professore rincasò entusiasta, ma sfinito. Tuttavia continuava a pensare ai suoi animali che stranamente verso sera gli erano parsi piuttosto irrequieti. Aveva deciso di aumentare la dose del siero da somministrare nella razione che sarebbe stata distribuita il mattino seguente. La giornata era stata intensa, la festa aveva avuto il successo sperato, ma finalmente era giunto il momento del meritato riposo. Si era infilato nel letto della sua casa nuova fatta costruire a pochi chilometri dal parco. La stanchezza aveva preso il sopravvento e in pochi minuti il professore si era addormentato beatamente. Non si era nemmeno rammentato dell’altro avvenimento tanto atteso. All’alba del mattino seguente infatti ci sarebbe stata l’eclissi di sole e lui voleva assistervi dallo zoo anche perché lo incuriosiva la reazione che avrebbero potuto avere gli animali. Ma sprofondato nel sonno se n’era completamente dimenticato.

Alle prime luci del sole due figure si avvicinarono all’ingresso del parco. Nel giorno di chiusura settimanale, imposto dal professore per la manutenzione del parco e per il controllo degli animali, Tobia e Ramon, due collaboratori di Walzer, avevano deciso di recarsi per primi ad assistere all’eclissi insieme al professore.
«Oggi il sole sorge per tramontare dopo un paio d’ore! Strano, eh?» esclamò Tobia.
«Già! E poi il cielo è limpido. Sarà uno spettacolo assistervi!» rispose Ramon.
«Pensi che il professore sia già arrivato?» chiese l’altro.
«Beh, conoscendolo direi di sì. Tuttavia l’eclissi non avverrà prima delle sette.»
Mentre chiacchieravano Tobia estrasse le chiavi e aprì il cancello. 
«Walzer non è ancora arrivato, non vedo luci accese nel suo ufficio» disse Tobia guardando verso il museo.
«Strano… era così ansioso. Ma non ne abbiamo più parlato negli ultimi giorni per via della festa dell’anniversario. Forse se n’è scordato!»
«No, impossibile. Sarà solo in ritardo. Ieri quando sono uscito da qui era ancora circondato dai giornalisti!»
«Ah! Ah! E dire che non amava le conferenze. Ora non perde un’intervista pur di parlare del suo miracolo!»
I due richiusero il cancello alle loro spalle e fecero un cenno di saluto verso uno dei guardiani notturni che si era avvicinato vedendoli entrare.
«Ehi! Come va ragazzi?» domandò quest’ultimo.
«Alla grande!» rispose Tobia.
«Io invece sono convinto di essere ancora nel letto! Che sonno!» disse sbadigliando sonoramente Ramon.
«Tutto a posto qui? Le bestie hanno dormito?» chiese Tobia al guardiano, Ismael, assunto da poco al parco.
«Come agnellini! Di notte cala un silenzio surreale, è incredibile. All’inizio avevo un po’ paura, tutte quelle belve… ma adesso mi ci sono abituato. Direi che lavorare qui è quasi monotono!»
«La scienza! Fa miracoli!» disse Ramon ancora sbadigliando.
I tre si salutarono. Ismael si recò verso l’uscita, il suo turno finiva alle sei. I due scienziati si diressero verso il centro del parco, dove avrebbero installato il telescopio per vedere l’andamento dell’eclissi. 

«Io vado a telefonare al professore, non può perdersi lo spettacolo» disse Ramon.
«Va bene! Intanto io posiziono l’attrezzatura in cima alla collina!» gli rispose il collega.
I due si separarono sorridendo, non avevano la minima idea di cosa sarebbe successo di lì a poco.
Ramon svoltò a destra verso il museo mentre cercava tra le tasche dei pantaloni la tessera magnetica per aprire la porta principale. Tobia invece proseguì lungo il sentiero, mentre improvvisamente un cinghiale gli attraversò la strada. Non si spaventò perché sapeva che gli animali del parco non erano pericolosi e lo guardò allontanarsi verso la fitta boscaglia. 
«Guarda come corre!» ridacchiò subito dopo, giungendo sulla sommità della collina. Aveva già preparato l’attrezzatura il giorno precedente e ora non doveva far altro che installarla completamente e mettere in funzione il telescopio. 
Improvvisamente con la coda dell’occhio vide qualcosa muoversi alla sua destra, si voltò e il cuore gli si fermò in gola. Nella grotta ricavata vicino alla collina un grosso leone lo stava fissando, circondato da una mezza dozzina di leonesse.
«Che ci fa il Re così vicino all’uscita del parco?» borbottò. Gli animali erano innocui, ma ognuno aveva il suo territorio nello zoo, da dove non si allontanava mai. Ora invece il Re, il leone più grosso del parco, si era allontanato con le sue compagne dalla savana, la vasta area ricreata interamente per loro.
Il leone sembrava scrutarlo minaccioso.
«Ehi, via di qui! Lo sai che non puoi stare quaggiù? Ma non ti hanno dato il siero…» 
In un lampo, al ruggito del Re, le leonesse fecero un balzo in avanti. Tobia non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa stesse accadendo che i felini gli piombarono addosso facendolo cadere a terra. Il suo corpo venne sbranato dai denti acuminati delle femmine del leone. Il Re restò in disparte ad assistere allo scempio. Poi, osservando il sole che andava lentamente scurendosi, ruggì.

Ramon intanto aveva trovato la tessera e aveva appena chiuso il portone quando gli parve di udire un rumore in lontananza, simile a un ruggito.
«Bah… sarà stata la serratura della porta» commentò senza convinzione.
Non udì le urla di terrore del collega, straziato dalle bestie.
Lo scienziato raggiunse l’ufficio di Walzer e quando fece per comporre il numero di telefono del professore si bloccò, il volto rilassato si tramutò improvvisamente in una maschera impaurita, con lo sguardo perso nel vuoto e la bocca spalancata. Dalla finestra di fronte a sé Ramon vide ciò che mai avrebbe voluto vedere in vita sua. Gli animali del parco si stavano radunando, dirigendosi tutti insieme verso la collina.
«Ma che diavolo… devo chiamare Walzer! Subito!» gridò.
Ramon sollevò il telefono dalla scrivania del professore avvicinandosi alla finestra, compose il numero mentre le dita cominciarono a tremare per la paura, quello che stava accadendo era assurdo. Dall’altra parte della cornetta rispose una voce debole e assonnata.
«Pronto? Chi è che chiama a quest’ora…»
Ma Ramon non ebbe nemmeno il tempo di parlare. Udì alcuni passi felpati alle proprie spalle, il fetore lo investì in un istante. Si voltò in preda al terrore, il grosso felino saltato sulla scrivania digrignò i denti. Il suo respiro era caldo e affannoso. Ramon gridò quando la grossa tigre balzò in avanti scaraventandolo a terra. 

«Pronto? Ma che succede? Chi è?» gridò il professore destatosi improvvisamente nell’udire rumori spaventosi e urla dall’altro capo del telefono. Guardò l’orologio e imprecò.
«Le sette meno un quarto? No! Sono in ritardo! Mi perderò l’eclissi…»
Con un balzo scese dal letto e in pochi minuti si vestì e uscì di casa dimenticandosi di allacciarsi i bottoni della giacca. Era spettinato e gli occhi ancora semichiusi dal sonno. Accese il fuoristrada spingendolo a folle velocità verso il parco. Nella testa continuavano a rimbombare quelle grida udite al telefono.
«È successo qualcosa… me lo sento!» borbottava in continuazione.
Arrivato finalmente davanti al cancello dello zoo suonò il clacson più volte, ma nessuno gli aprì.
«Impossibile che non ci sia nessuno! Se i guardiani notturni sono già andati via devono esserci per forza Tobia e Ramon e gli altri guardiani di turno. Eravamo d’accordo di trovarci qui per l’eclissi!»
Suonò ancora.
«Aprite!» gridò il professore scendendo dalla vettura impolverata.
Estrasse il mazzo di chiavi dalla tasca della giacca cercando disperatamente la chiave giusta e dopo interminabili secondi la trovò. Aprì il cancello e corse dentro, il cuore galoppava all’impazzata e l’ansia lo attanagliava. Temeva che qualcosa di terribile fosse davvero accaduto. Non c’era traccia dei guardiani o dei suoi collaboratori.
Walzer raggiunse l’entrata del museo, ma appena dentro si fermò sbigottito. Decine di animali si stavano radunando attorno alla collina dove lui stesso avrebbe dovuto recarsi con Tobia e Ramon per osservare l’eclissi. In cima alla collina c’era lui, il suo preferito. L’aveva catturato personalmente in Africa alcuni anni prima, quand’era ancora un cucciolo. Gli addetti del parco lo avevano soprannominato il Re, perché lui sarebbe stato un vero re della savana se non fosse stato catturato. Suo padre era leggendario tra le tribù africane, ma era perito sotto i colpi dei fucili dei bracconieri. Quel leoncino catturato da piccolo ora era cresciuto, lontano dai suoi fratelli venduti ad altri zoo. Quando era arrivato a Safari era impaurito, ma anche molto determinato, non sopportava chi lo avvicinava e ruggiva continuamente. 
Il professore lo osservò meravigliato, innanzi a sé andava compiendosi qualcosa di straordinario. Animali di tutte le specie sembravano inchinarsi al leone, mentre emettevano versi assordanti. Il suo leone si stava comportando da vero re.
Walzer indietreggiò lentamente cercando la porta d’ingresso del museo. I suoi occhi continuavano a fissare il leone che si era accorto della sua presenza. Il professore ebbe un fremito di paura, il sangue gli si gelò nelle vene quando il leone ruggì così forte che gli altri animali tacquero all’istante. 
«Non è possibile…» bofonchiava Walzer terrorizzato e incredulo.
Si voltò di scatto ed entrò correndo nel museo cercando di raggiungere il suo ufficio. Doveva chiamare aiuto, gli serviva un telefono. Ma una volta dentro l’edificio si immobilizzò all’istante.
«Anche ai ragazzi… anche a loro serviva il telefono…» pensò. Cercò l’interruttore della luce ancora spenta e i neon si accesero con il loro lento ronzio. Rimase sbigottito, il museo era tutto sottosopra. Raggiunto il suo ufficio gridò di terrore. Il sangue era dappertutto, una lunga scia rossa guidò il suo sguardo fino all’esterno, dove intravide un corpo umano dilaniato. Walzer si sentì svenire, vomitò e cadde a terra. Gli mancava il fiato.
«Non può essere…» bisbigliò «il mio sogno… distrutto!»
Il silenzio piombò sul parco insieme alla semioscurità dovuta all’eclisse. 
«Il siero… non funziona più…» lamentava il professore mentre tentava di rialzarsi. Ma i suoi pensieri erano altri. Sapeva fin dall’inizio che sarebbe arrivato il giorno in cui quel leoncino agguerrito, strappato anni prima alla sua terra, gliel’avrebbe fatta pagare. Lo aveva capito quando lo aveva guardato dritto negli occhi il giorno della cattura nella savana. Walzer aveva riso perché aveva sentito in quello sguardo il peso dell’odio del cucciolo nei suoi confronti. Il leoncino piangeva mentre suo padre moriva, lui l’aveva preso in braccio, ma aveva ricevuto un graffio dai suoi piccoli artigli. Walzer aveva gridato per il dolore e lo aveva gettato a terra, tenendolo sotto il pesante scarpone. Il suo sguardo aveva incrociato nuovamente gli occhi scuri del cucciolo di leone che mostrava i piccoli denti affilati. Il silenzio era piombato nell’intera savana e Walzer aveva percepito la sete di vendetta dell’animale. Era confuso, ma gli era piaciuto quel cucciolo così aggressivo e aveva deciso di portarlo nel suo zoo. Il giorno successivo Walzer, intento a dare la caccia ad altri animali da portare con sé, non si era nemmeno accorto che il sole si era oscurato quasi totalmente. Il leoncino invece aveva alzato lo sguardo verso il cielo e ne era rimasto affascinato.
Ora la nuova eclissi si andava compiendo anche sopra lo zoo di Safari, ma si stavano invertendo le parti dei protagonisti. Il Re era cresciuto in quegli anni e aveva quasi completamente dimenticato la sua famiglia e la sua terra. Il siero oscurava i suoi pensieri e la sua mente non era in grado di portare alla luce ricordi così dolorosi. La vita nel parco scorreva nel più ovattato dei silenzi, in un’estasi meravigliosa in cui gli animali non riconoscevano se stessi. Ma quando all’alba di quel giorno il sole si era oscurato, gli occhi spenti e freddi del leone si erano improvvisamente accesi, brillando di una luce intensa, piena di vita. Il Re aveva ripreso conoscenza, i ricordi erano fluiti come un fiume in piena verso la sua mente, che ne era stata completamente invasa. Il leone aveva rapidamente percorso a ritroso tutti gli avvenimenti della sua vita, dai maltrattamenti subiti da parte degli addetti del parco, alle somministrazioni quotidiane di quel siero che oscurava i suoi pensieri e frenava il suo istinto, alla savana e a quel giorno in cui l’uomo dalla barba bianca aveva sterminato i suoi genitori e catturato lui e i suoi fratelli. 
Walzer strisciò sul pavimento imbrattato di sangue, sapeva di aver esagerato con le dosi del siero di sua invenzione. Certo non poteva immaginare che quella sostanza non avrebbe avuto effetto durante l’eclissi. L’immagine del sole annerito stampata nella mente del leone era così forte da valicare le barriere imposte dal siero. Il leone aveva immediatamente associato l’eclissi al giorno in cui era stato catturato. Si era risvegliato e il suo ruggito aveva scosso gli altri animali del parco che lentamente avevano ripreso i sensi. Il re della savana era pronto a prendere il comando del parco e a compiere la sua terribile vendetta.
Tutti gli animali si radunarono attorno al leone. Walzer sedeva rannicchiato sotto la finestra del suo ufficio che dava verso la collina. Piangeva terrorizzato. Il leone ruggì esortando gli animali dello zoo a muoversi verso il museo. Il buio calò nel parco. In pochi istanti il professore venne trascinato al suo cospetto, in cima alla collina. Walzer tremava come un fuscello, in ginocchio di fronte al re. Venne spinto all’interno di una grotta mentre tutti gli animali del parco iniziarono a sfilare davanti a lui, come se fossero diventati loro stessi gli spettatori di quello zoo che li aveva sottratti al loro mondo. Walzer era rimasto intrappolato nel suo stesso gioco, prigioniero di quel sogno trasformatosi in incubo. Ora era lui a essere braccato, era lui a essere sottratto alla propria vita.
Il sole ricomparve lentamente fino a splendere di nuovo. Walzer rimase intrappolato nella grotta finché tutti gli animali del parco passarono di fronte a lui soffermandosi a contemplarlo pietosamente. Qualcuno ruggiva al suo cospetto, qualche altro digrignava i denti, molti erano tentati dalla sete di vendetta, ma rispettavano la decisione del Re che aveva scelto di umiliare il loro carnefice e trasformare il direttore dello zoo nell’unico ospite rimasto.
Gli animali si diressero verso l’uscita e si sparpagliarono nelle foreste, ma non ritrovarono il proprio habitat e molti morirono. 

La notizia della disastrosa conclusione dell’esistenza di Safari fece il giro del mondo. Il professor Walzer venne interrogato a lungo sull’accaduto e quando infine confessò di aver strappato molti animali dalle riserve in cui vivevano, di averli maltrattati e di aver somministrato loro dosi eccessive di sieri non legalmente riconosciuti, venne ritenuto responsabile del comportamento aggressivo degli animali e della morte dei due scienziati.

Ci vollero settimane per recuperare gli animali fuggiti dal parco. In seguito questi furono condotti in nuove strutture. Solo il leone più grosso, il Re, fu riportato nella savana, su richiesta scritta del professore, che venne trovato impiccato nella propria cella pochi mesi dopo.


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