martedì 13 maggio 2014

La danza nel bosco ("Giardini d'Irlanda", pp. 40-41)



Ballavano freneticamente, correvano intorno al fuoco e solamente allora riuscii a distinguere chiaramente i loro volti. Avevano l’aspetto di bambini invecchiati, con ciuffi di peli sopra le lunghe orecchie appuntite. Indossavano strani abiti colorati, con scarpe affusolate e buffi cappelli.
E in mezzo a loro una meravigliosa fanciulla danzava leggiadra nel suo candido abito nuziale. Aveva una lunga chioma bionda, un viso dolce e incantevole e due minuscole ali trasparenti sulla schiena. Si muoveva lentamente come una dama di corte in un ballo del settecento, mentre i suoi corteggiatori correvano talmente forte da creare una sorta di vortice.
Il fuoco si alimentò da solo ingigantendosi fino a diventare un enorme falò. Il bosco tutto intorno si illuminò e il buio svanì, lasciandomi allo scoperto.

«…ecco ecco il forestiero, un umano tutto vero. Lui non crede alla magia, Fata buona portalo via!» 

Cercai di urlare ma dalla bocca non fuoriusciva alcun suono; i Folletti continuavano a danzare in quel ballo trotterellante e mi accorsi che, nonostante stessero ballando furiosamente in un pazzesco turbinio, mi osservavano costantemente. La loro testa era sempre girata verso di me, insieme sorridevano, insieme mi strizzavano l’occhio, insieme mi volgevano uno sguardo feroce. I loro occhi mi stavano ipnotizzando, nonostante girassero velocissimi intorno al fuoco senza mai stancarsi e continuassero a cantare, mentre la dolce Fata proseguiva nel suo lento ballo all’interno del cerchio.

«Bighellone furfante mattacchione scapestrato mai sposato senza terra senza soldi pazzo scatenato fiore ammalato mamma dove sei tu non ci sei mai salta balla corri scrivi…»

Stop! Il ballo forsennato si interruppe bruscamente e i Folletti del Vastario si fermarono immobili tutti con lo sguardo rivolto nella stessa direzione, verso la Fata. Lei continuava nel suo ballo come se seguisse una musica tutta sua, il vento si alzò impetuoso scuotendo gli alberi, io ero uno spettatore inerme di fronte a tutto ciò. Con i piedi impigliati nelle radici della quercia e con la mente confusa restai immobile come una statua di marmo, con gli occhi sbarrati e persi nel vuoto. Cercavo di muovere le labbra, ma inutilmente.

La Fata si fermò, accarezzò uno a uno i piccoli Folletti e li gettò nelle fiamme. Se fuori ero di pietra, dentro ero ancora vivo. Il terrore mi agguantava il cuore facendolo battere all’impazzata fino a farlo quasi scoppiare, riuscivo a malapena a muovere le pupille in direzione della meravigliosa fanciulla che si avvicinava. I Folletti caduti tra le fiamme riapparivano saltellando tutti infuocati e mi saltavano intorno come fiammelle impazzite.
La Fata si avvicinava sempre di più, il suo volto scompariva man mano che veniva verso di me. Mi prese la mano e mi condusse verso il fuoco, sentivo le gambe atrofizzate muoversi da sole liberandosi dalle radici, ma non ero io che le comandavo. Le fiammelle si ricomposero in un cerchio e mi ritrovai improvvisamente a danzare con quella bellissima creatura del bosco. I Folletti ripresero il loro aspetto e ricominciarono il ballo forsennato, la Fata mi condusse in mezzo a loro e improvvisamente mi trovai coinvolto in quella danza in continua accelerazione. Il terrore mutò in stupore, la cantilena divenne improvvisamente una melodia irresistibile e quel gioco incominciò a piacermi. Ridendo e cantando a squarciagola danzavo con i Folletti intorno alla Fata che aveva ripreso il suo lento ballo. Cantavo con loro senza nemmeno rendermi conto di ciò che mi stava succedendo.

«Danza danza il poverello, ha scoperto quanto è bello. Fata bella, Fata buona, non ti devi rattristare. Ora noi dobbiamo andare. L’ora è giunta e lo sai bene, sorge il sole…»

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