lunedì 9 febbraio 2015

Foibe, 10 febbraio il "Giorno del ricordo"

Le foibe sono cavità carsiche di origine naturale a strapiombo ed è in quelle voragini dell'Istria che fra il 1943 e il 1947 sono stati gettati vivi o morti quasi diecimila italiani, uomini, donne, bambini, vittime dell'odio politico-ideologico del regime jugoslavo. La persecuzione proseguì fino alla primavera del 1947, fino a quando venne fissato il confine fra l'Italia e la Jugoslavia con la cessione delle terre dell'Istria e della Dalmazia alla Jugoslavia di Tito trasformando in esuli circa trecentocinquantamila persone che scapparono dal terrore e dalle persecuzioni senza trovare particolare accoglienza in Italia. 

Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana che viene celebrata il 10 febbraio di ogni anno e che commemora le vittime di questi massacri e dell'esodo giuliano-dalmata, data ufficializzata con la legge 92 del 30 marzo 2004. 

Questa la testimonianza di uno dei sopravvissuti:
 «dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell'alba, sentii uno dei nostri aguzzini dire agli altri "facciamo presto, perché si parte subito". Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 kg. Fummo sospinti verso l'orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, c'impose di seguirne l'esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra, cosicché, quando mi gettai nella foiba, il masso era rotolato lontano da me. La cavità aveva una larghezza di circa 10 metri e una profondità di 15 sino la superficie dell'acqua che stagnava sul fondo. Cadendo non toccai fondo e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole "un'altra volta li butteremo di qua, è più comodo", pronunciate da uno degli assassini. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott'acqua schiacciandomi con la pressione dell'aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese, per tema di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo.»

Non esistono giustificazioni di fronte a tragedie umane di questo tipo. Quello che possiamo e dobbiamo fare è almeno ricordare ciò che è accaduto, in modo che questi orrori non possano più ripetersi.

3 commenti:

  1. Grazie per aver parlato delle foibe, un post davvero toccante che riguarda un massacro che pochi ricordano purtroppo.

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  2. Grazie per aver parlato delle foibe, un post davvero toccante che riguarda un massacro che pochi ricordano purtroppo.

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  3. Nel "Giorno del ricordo" è giusto ricordare, ma come dici tu ricordano in pochi e ancora meno ne parlano..

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