mercoledì 12 febbraio 2014

Pugnali di carta



Si erano addestrati duramente, per giorni e giorni, trascorrendo notti insonni e cercando di resistere alla stanchezza e alla fatica. Quando arrivò il fatidico momento della battaglia, entrambe le fazioni erano determinate a vincere annientando l'avversario. L'alba rischiarava la radura dove i contendenti si erano dati appuntamento. Armati di tutto punto si scrutavano nella penombra, silenziosi, ma attenti a non concedere la prima mossa all'avversario. Un gufo appollaiato sul ramo di una vecchia quercia osservava impassibile la scena che andava svolgendosi al di sotto. L'erba era ancora bagnata dalla rugiada della notte, faceva freddo e la nuda roccia che frapponeva le fazioni pareva di ghiaccio. Il primo gruppo avanzò lentamente, era composto da una dozzina di persone in tutto. Gli avversari, in egual numero, non persero tempo, avvicinandosi al centro dello spiazzo. Sguardi ostili e muso duro. La tensione era palpabile nell'aria. Quando il sole sorse completamente, la roccia fu avvolta da un fascio di luce accecante. Era il segnale tanto atteso. Gocce di rugiada pendevano dalle foglie degli alberi scintillando come preziosi diamanti. Il gufo si scosse all'improvviso, dimenò le ali scrollandosi alcune vecchie piume di dosso. Poi prese il volo andando a cercare un riparo dalla luce del giorno. I contendenti conversero al centro, ciascuno estrasse le proprie armi. I due capitani si staccarono dai rispettivi schieramenti, venendosi incontro. Quando furono l'uno di fronte all'altro si strinsero la mano fissandosi negli occhi, poi a passo spedito tornarono ai propri posti di combattimento. Intanto molta gente era accorsa, la notizia dell'imminente scontro si era presto divulgata fino ai paesi limitrofi. I sostenitori della prosa acclamavano i propri beniamini, mentre i seguaci della poesia facevano altrettanto. Si udirono grida di incitamento quando il primo dei prosatori estrasse la propria pergamena e cominciò a leggere a gran voce. Ma il poeta rivale non si perse d'animo ribattendo in rime e versetti. Entrambi gridavano a squarciagola, divenendo paonazzi dall'impeto con cui sostenevano le proprie convinzioni, fino a quando il poeta dovette arrendersi rimanendo senza fiato. Perciò intervenne un secondo poeta che in pochi istanti tramortì l'esausto prosatore ancora in gioco, e a ruota toccò a tutti i membri dei due gruppi fronteggiarsi in un saliscendi di battute, canzonette, testi e parole. La tensione era alle stelle, lo scontro andava verso un epilogo incerto, gli adepti erano sfiniti e rimasero in gara solo i due capitani che si fronteggiavano duramente. Erano passate alcune ore dall'inizio della battaglia quando il cielo cominciò a incupirsi. Il vento si levò minaccioso facendo volare decine di bozze di carta, pergamene, tomi sgualciti, penne e calamai. Le armi dei contendenti erano a terra, la folla di curiosi e sostenitori si dileguò rapidamente mentre il cielo scatenava la sua furia riversando una violenta pioggia sulla radura. Le voci dei due capitani erano ormai flebili a causa del fragore dei tuoni. Neppure i loro compagni che erano a poca distanza riuscivano a udire il suono della loro voce, e nessuno poteva dire chi avesse vinto.
Il giorno seguente la gente non parlava d'altro. L'amore per la letteratura aveva spinto i due gruppi a scontrarsi verbalmente per stabilire se dovesse essere la prosa oppure la poesia a regnare indiscussa, ma il fato aveva stabilito che non potevano esserci né vincitori né vinti e che quindi entrambi i generi avevano diritto a esistere.

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